“Acrobati”: i significati dell’album di Daniele Silvestri

Daniele Silvestri torna a 5 anni di distanza dall’ultimo album di inediti, e lo fa con ben 18 canzoni nuove per un’ora e un quarto di musica.

Daniele_SilvestriA 5 anni dall’ultimo album di inediti (S.C.O.T.C.H.) e a due dal progetto FabiSilvestriGazzè, torna Daniele Silvestri e lo fa con un disco che contiene ben 18 inediti, per un’ora e un quarto di musica.
La scintilla creativa è scoccata durante le sessioni di registrazione in Puglia, con una band tutta nuova, scintilla che ha fatto saltare il tappo al fiume di idee che scorreva nella testa del cantautore romano e che si sono riversate poi in parole e musica in Acrobati.
Un album acrobatico già dalla copertina, realizzata da Paolino De Francesco: da un ipotetico aeroplano si osserva un cielo tessuto di fili sottilissimi, in cui si muovono figure immerse nella loro straordinaria quotidianità, come a dire che quella di camminare sul filo è una pratica che riguarda, ogni giorno, tutti noi.
L’album si apre con La mia casa, e arriva subito chiara la dichiarazione d’intenti sulla natura eterogenea del disco, ovvero il racconto di una casa che è in tutti i posti e in nessuno, a Lisbona, Marrakech, Berlino, Londra, Parigi (con citazione del Bataclan), o Roma.
Si prosegue con Quali alibi, singolo di lancio dell’album, dove troviamo il Silvestri di sempre, a cui piace giocare con le parole e che dietro un ritmo apparentemente scanzonato punta il dito contro gli abusi di potere, passando per la non-elezione di Renzi (“mi era sembrato di notare un fatto poco chiaro / come una sorta di governo ma di terza mano / con un programma mai approvato che però seguiamo / e neanche posso non votare / perchè non votiamo”) e un silenzio popolare comprato con le mazzette e il solito invito a farsi i fatti propri, “che tanto il mondo gira ancora come sempre”.
La title-track Acrobati riprende il tema della copertina del disco e racconta di un mondo visto dall’oblò di un aeroplano, da dove tutto sembra bello, perfetto ed estremamente organizzato, solo perchè osservato da una prospettiva lontanissima. E allora bisognerebbe disobbedire alla legge di gravità per vivere lassù e guardare le cose dall’alto, come due acrobati, immaginando che sotto ci sia un mondo perfetto.
Pochi giorni è dominata dall’uso dei sintetizzatori e vede la partecipazione di Roy Paci alla tromba e di Diodato alla voce. Il pezzo ruota intorno alla fiducia verso una lei che è partita da sola per un viaggio e l’ansia che questo comporta in chi aspetta il suo ritorno, anche se si tratta solo di pochi giorni (o no?).
Altra collaborazione, quella con Dellera, che canta le parti in inglese di Un altro bicchiere, immagine velatamente accusatoria di quelli che Dante a suo tempo chiamò ignavi, anche se Silvestri li trasporta al giorno d’oggi: persone che non fanno niente tutto il giorno, che non hanno passioni o interessi, non pensano nè a loro stessi nè al loro futuro, e il cui unico scopo è aspettare la sera per andare a ubriacarsi in giro per locali. L’impressione però è che sia un pezzo un po’ sospeso, quasi incompiuto, come se mancasse una conclusione alla storia, per dare alla storia un senso più preciso.
La mia routine è, purtroppo, il ritratto dell’uomo moderno: appagato e schiavo allo stesso tempo delle sue abitudini, che non vuole rischiare di fare quel mezzo passo in più per non esporsi, al punto da non voler neanche uscire di casa, tanto ha tutto a disposizione con un clic. (“Io sto bene con la mia routine / lascio a te la tua rivoluzione / a me interessa solo non dimenticare il pin / perchè ho tutto sul mio terminale / posso andare dove voglio con un solo clic / rimanendo qui / senza muovermi”). Curiosità: la voce che si sente sul finale di canzone è quella di Santiago, figlio di Daniele.
Si prosegue con Così vicina, brano quasi etereo, poggiato su sintetizzatori onirici e una chitarra di stampo Harrisoniano sul finale sfumato, che racconta della fine di una storia, lasciando decidere all’ascoltatore se quella così vicina fosse proprio la fine oppure l’ombra di un’altra donna.
La verità ha un’andatura jazz e il modo da crooner con cui Silvestri quasi ci sussurra questo pezzo ci porta in qualche piccolo locale fumoso negli anni ’60, dove il cantante col suo tono confidenziale ci svela che la verità (o quella che per noi è la verità) molto spesso non è altro che un’immagine confusa, molto spesso una bugia, la cui vera natura sarà però rivelata solo dal tempo.
E’ la volta di Pensieri, piccolo brano minimalista di un paio di minuti che parla di un rapporto d’amore che si sta esaurendo per l’incapacità di non riuscire più a parlarsi, al punto da vederla ripiegare i propri vestiti non sapendo nemmeno se ritornerà, tanto è insormontabile l’incomunicabilità, e rimpiangendo quando ci si parlava e c’era unione di intenti e di sentimenti, oggi che quel tempo sembra lontano anni luce.
Monolocale è un brano decisamente particolare: tutto giocato sui ritmi e sugli stoppati, è quasi completamente parlato ed è un monologo di una ragazza stanca della sua vita, o meglio, della sua non-vita, fatta di sacrifici, di rinunce, di mancata felicità, e mentre è lì e ripercorre il suo passato ha una pistola in mano ed è indecisa se spararsi o magari saltare dalla finestra per volare.
Si va avanti e si arriva ad un altro ospite di prestigio, ovvero Caparezza ne La guerra del sale. Chi scrive da tempo aspettava una collaborazione tra due dei maggiori giocolieri della lingua italiana, e finalmente è arrivata su questo pezzo dall’andatura decisamente rock. Quello che ne scaturisce è il capolavoro del disco: un testo magnifico e fortemente politico, con una quantità di calembour impressionante e le voci dei due artisti che si fondono alla perfezione (con tanto di auto-parodia di Salirò). Ascoltare per credere.
A dispetto dei pronostici è un brano a metà tra uno stornello popolare e un valzer, ed è il racconto al proprio generale fatto da parte di un militare sopravvissuto ad un attacco terroristico, che in ospedale si è trovato per vicino di letto proprio il ragazzo che aveva compiuto quel folle gesto. Il finale non vogliamo svelarvelo per lasciarvi il piacere di scoprirlo con l’ascolto.
Altro pezzo di stampo minimal, Come se sembra il secondo tempo di Pensieri, e vorrebbe riportare il tempo all’inizio di una storia, per spezzare la monotonia e ricominciare, ripartendo da quando tutto è sconosciuto e da esplorare, ed ogni cosa è meraviglia e stupore.
L’orologio vede la partecipazione di Diego Mancino (che già aveva cantato in Acqua che scorre su S.C.O.T.C.H.) e con un testo in bilico tra serietà e ironia, racconta degli alti e bassi di una vita normale, tra un lavoro e fidanzata, dove però manca quel rifugio sicuro che era il padre, che sapeva donare certezze con un solo abbraccio.
Ironia, funk e vecchia saggezza popolare si fondono in Bio-boogie, in cui Silvestri, insieme alla crew campana dei Funky pusherz prende di mira una delle mode dei giorni d’oggi: il cibo biologico, ritenuto spesso più una moda che una vera e propria certificazione di maggior qualità dei prodotti (basti pensare al riferimento nelle strofe in napoletano ai prodotti “biologici” coltivati nella Terra dei fuochi).
Tuttosport è un breve intermezzo, una sorta di divertissement, e lo prendiamo così com’è. Sembra quasi raccontare di qualcuno che pur di sottrarsi ai propri doveri passa tutto il giorno a guardare qualsiasi tipo di sport in televisione, ma è talmente breve e criptica da lasciare spazio a diverse interperazioni.
Ci avviciniamo verso la fine del disco e arriva Spengo la luce, tormento notturno di un insonne che non riesce ad addormentarsi, torturato dai continui pensieri che gli attanagliano la mente. Nemmeno contare le pecorelle aiuta, tanto da arrivare ad immaginare un esercito di pecore brutte che parlano in inglese, e non fanno altro che amplificare la tortura.
Titolo più azzeccato non poteva esserci per l’ultima canzone, e Alla fine va a chiudere un’ora e un quarto di musica facendo un po’ il punto di tutto l’album, come guardando ancora una volta il mondo da quell’oblò dell’aereo, perchè dall’alto tutto è sospeso, e può essere diverso da come appare realmente, si può modificare e ricreare a piacimento. Non a caso le parole che chiudono il disco sono le stesse in chiusura della title track (“dall’alto / c’è sempre / qualcuno / che guarda… / …guarda!”).

Un album eterogeneo per tematiche e sonorità, come sempre accaduto nella discografia di Silvestri, che vede picchi di grande qualità (Quali alibi, Pensieri, La guerra del sale, A dispetto dei pronostici) e qualcosa che lascia un po’ meno convinti (Un altro bicchiere, L’orologio, Tuttosport, Spengo la luce).
Effettivamente 18 brani sono tanti e il rischio che nel mucchio qualche pezzo potesse risultare meno efficace era inevitabile, ma comunque rimane un disco piacevole, che aggiunge al repertorio del cantautore romano un’altra manciata di buone canzoni.

Questa la tracklist:
1. La mia casa
2. Quali alibi
3. Acrobati
4. Pochi giorni (feat. Diodato)
5. Un altro bicchiere (feat. Dellera)
6. La mia routine
7. Così vicina
8. La verità
9. Pensieri
10. Monolocale
11. La guerra del sale (feat. Caparezza)
12. A dispetto dei pronostici
13. Come se
14. L’orologio (feat. Diego Mancino)
15. Bio-boogie (feat. Funky Pushertz)
16. Tuttosport
17. Spengo la luce (feat. Dellera)
18. Alla fine (feat. Diodato)