5 miti da sfatare sul cervello

Un colpo alla testa può davvero farci dimenticare chi siamo? L’alcol ci brucia i neuroni?
Ecco alcune delle risposte alle più famose leggende metropolitane sul cervello.

Mai nella storia erano entrate in ballo risorse così consistenti per la ricerca sul cervello come oggi con lo Human Brain Project (in Europa) e il progetto Brain (in America). É il segno che far luce sul funzionamento di questo meraviglioso set di ingranaggi che abbiamo dentro la testa è diventata una delle priorità assolute della scienza, e che i segreti della memoria, della coscienza, dell’intelligenza e dell’origine delle malattie mentali sono forse più vicini a essere rivelati. Ma anche che forse le leggende metropolitane che da sempre spopolano sul cervello hanno ormai le ore contate.

La musica classica rende i bambini più intelligenti
Perché perdere l’occasione di far ascoltare un po’ di sinfonie al proprio bimbo già nella culla, se questo può far impennare il suo QI?
Il mito nasce da un lavoro degli anni ’90 pubblicato sulla nota rivista scientifica Nature, dove il duo di scienziati Gordon Shaw e Frances Rauscher dimostra che alcuni studenti diventavano più bravi a risolvere alcuni problemi subito dopo aver ascoltato la celebre Sonata in re maggiore per due pianoforti di Mozart. L’idea è così pop che prende subito un nome: effetto Mozart. E viene travisata fino a portare a supporre che, facendo ascoltare l’opera ai bambini, questi possano sviluppare un’intelligenza superiore agli altri (speculazioni mediante business di cd e dvd per bambini comprese). In assenza, tuttavia, di alcun riscontro scientifico.
Gli esperimenti di Shaw e Rauscher, una volta riprodotti, hanno evidenziato infatti che lo sviluppo di una maggior perspicacia, oltre a riguardare solamente l’intelligenza spazio-temporale (cioè l’analisi delle forme, delle posizioni e il senso dell’orientamento), è solamente temporaneo e svanisce completamente nell’arco di una manciata di minuti. E non ha niente a che vedere con lo sviluppo cognitivo.

Uomini e donne hanno capacità diverse perché hanno cervelli diversi
Ci sono differenze fisiologiche tra il cervello delle donne e quello degli uomini, e questo è all’origine abilità diverse tra i due sessi. Falso, falsissimo: nessuna ricerca ha mai dimostrato che ci siano differenze nelle connessioni tra i neuroni nei vari network del cervello tali da determinare un divario nell’apprendimento di nuovi skill in base al sesso. Siano questi i problemi matematici, la logica, l’arte, le attività politiche, la medicina. E anzi, il tentativo di un approccio differenziato sul piano dell’educazione ha dimostrato di non servire proprio a nulla (se non ad alimentare gli stereotipi).

Eppure questa visione “stereotipata” del cervello ha preso piede facilmente, tanto da riproporsi come attuale in una versione sofisticata: gli uomini avrebbero due emisferi cerebrali più specializzati, o tenderebbero a essere più aggressivi, mentre le donne dei circuiti più complessi a livello emozionale e sul piano dell’empatia. Per queste ragioni uomini e donne non sarebbero adatti a fare le stesse cose.

Se è vero che donne e uomini non hanno lo stesso identico corpo, queste distinzioni di carattere cognitivo continuano però a essere infondate ed esagerate e non correlano in alcun modo con le differenze nel comportamento, l’essere in grado di portare a termine determinate operazioni o il poter migliorare specifiche abilità.

I danni al cervello sono irreparabili
Il mito narra che siamo nati con un numero prestabilito di cellule nervose, e perciò una lesione a livello cerebrale comporterebbe un danno da cui è impossibile recuperare. Le lesioni cerebrali hanno sempre generato per questo immagini molto sconfortanti: persone destinate a vivere per sempre in stato vegetativo, in condizioni di grave disabilità fisica o mentale.

La realtà ci dice però che siamo in uno di quei casi dove è sbagliatissimo “fare di tutta l’erba un fascio”. Le lesioni al cervello, infatti, non sono tutte uguali, e la gravità delle conseguenze dipende innanzitutto da quanto sono estese e dall’area cerebrale coinvolta. Se da un lato è vero che le lesioni profonde, comprensive di forti emorragie, lasciano segni indelebili o necessitano di pesanti interventi chirurgici, nel caso di lesioni circoscritte, invece, il cervello ha dimostrato di poter molto spesso recuperare senza recare grosse disabilità.

Succede perché, nonostante i neuroni, una volta danneggiati o persi, non possano essere in alcun modo sostituiti, questo non vale per le sinapsi, cioè le terminazioni che consentono ai neuroni di comunicare uno con l’altro, che possono invece costruire nuove vie e compensare i danni all’interno del network. È grazie a questo processo, denominato plasticità cerebrale, che per esempio molti pazienti colpiti da ictus riescono a recuperare le loro capacità motorie e verbali.

L’alcol uccide le cellule del cervello
Movimenti scoordinati, parole confuse, comportamenti irrazionali: è facile immaginare che chi è spesso ubriaco, o chi è alcolizzato, si sia giocato il cervello per colpa dell’alcol. Ma davvero l’alcol uccide le cellule nervose? La biologia ci dice che non è esattamente così.

L’eccesso di alcol altera essenzialmente la porzione terminale dei neuroni, i cosiddetti dentriti, rendendo più difficoltosa la trasmissione del segnale e di conseguenza la comunicazione tra cervello e i distretti corporei. Per quanto dannoso, si tratta però di un processo reversibile, che non provoca la morte delle cellule cerebrali.

Negli alcolisti di lunga data invece, può manifestarsi la sindrome di Wernicke-Korsakoff, un disturbo neurologico dove il tessuto nervoso viene realmente compromesso, con conseguenze sulla memoria, la coordinazione muscolare, la vista, fino alla demenza. A causarla tuttavia non è un danno diretto dell’alcol sulle cellule, bensì una deficienza di tiamina, una vitamina essenziale il cui assorbimento viene alterato dall’alcolismo. Insomma: l’alcol non brucia di per sé il cervello, bensì può danneggiarlo (e con effetti anche molto gravi) attraverso vie collaterali quando l’abuso diventa patologico.

Una botta in testa può farci perdere (e ritornare) la memoria
É uno degli espedienti più abusati nelle soap: il personaggio cade vittima di un tragico incidente e, quando si risveglia, non ricorda più nulla della sua vita. Dopo qualche puntata, un altro colpo in testa ed ecco improvvisamente tornare perfettamente la memoria. Nella vita reale no, questo non accade.

L’amnesia retrograda, cioè quella che cancella gli eventi passati, può sì manifestarsi in occasione di un brutto trauma cranico. Tuttavia non è affatto scontato che un brutto colpo in testa possa determinare un reset proprio a livello della memoria autobiografica, quella che permette di richiamare la storia personale e l’identità dell’individuo. Per non parlare dell’ipotesi, del tutto fantasiosa, che questa possa ripristinarsi semplicemente con un’altra botta in testa.